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Le droghe tra normazione insufficiente ed ipertrofie giurisprudenziali

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Le droghe tra normazione insufficiente ed ipertrofie giurisprudenziali

 

L'invadenza eccessiva della Giurisprudenza di legittimità

Nel 1930, la normativa sugli stupefacenti era inserita nel capo II titolo VI CP. Dunque, spacciare o fare uso di droghe era qualificato alla stregua di un “delitto contro l'incolumità pubblica”. In particolar modo, nella stesura primigenia del Codice Rocco, vigevano gli Artt. 446 CP (commercio clandestino o fraudolento di sostanze stupefacenti) e 447 CP (agevolazione dolosa dell'uso di sostanze stupefacenti). Dette norme sono state completamente abrogate dalla L. 685/1975. In Dottrina, Palazzo (1994)[1] ha notato che, nei previgenti Artt. 446 e 447 CP, si presupponeva una “cooperazione da parte del consumatore di cose o sostanze pericolose”. Anche Gargani (2013)[2] osservava che, prima della riforma del 1975, fare uso o alienare ad altri sostanze psicotrope era un “delitto contro la pubblica incolumità”.

Viceversa, nella Normativa attuale, Amato & Fidelbo (2012)[3] rimarcano che, in epoca odierna, il Legislatore ha scelto di tutelare altri beni, come “la salute del singolo assuntore, la lotta al mercato della droga, la sicurezza, l'ordine pubblico nonché il normale sviluppo delle giovani generazioni”. I postulati di Amato & Fidelbo (ibidem)[4] sono stati enucleati pure da Cass., SS.UU., 24 giugno 1998, n. 9973. Kremi nonché da Cass., SS.UU., 24 aprile 2008, n. 28605, Di Salvia. Inoltre, come affermato da Toriello (2015)[5], “la novella del 2006 (c.d. Legge Fini-Giovanardi) -caducata da Consulta 32/2014- aveva assimilato la risposta sanzionatoria tra le droghe leggere e quelle pesanti, accrescendo così la rilevanza, nel campo degli stupefacenti, della protezione dei beni dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica”.

Molti, in Dottrina, hanno criticato l'applicazione del Diritto Penale a quasi tutte le fattispecie processuali aventi ad oggetto droghe. P.e., molti casi ineriscono il danno che la sostanza psicotropa reca “contro la persona” e non contro la “pubblica incolumità”. Oppure, una coltivazione meramente domestica e rudimentale non lede alcun bene pubblico. Oppure ancora, non ha senso parlare di sanzione penale di fronte alla cessione di pochi grammi di canapa ad un maggiorenne per finalità esclusivamente ludico-ricreative. Dopotutto, nemmeno il consumo di gruppo lede la ratio di cui al comma 1 Art. 32 Cost. . In effetti, lo spaccio ex comma 1 Art. 73 TU 309/90 genera, per la maggior parte dei casi, un “pericolo individuale” in danno della persona e ciò nulla ha a che fare né con la tutela della salute collettiva né con il turbamento dell'ordine pubblico. L'ipertrofia della risposta “penale” nel TU 309/90 è messa in evidenza pure da Padovani & Stortoni (1991)[6], a parere dei quali “si deve tentare di emancipare [i delitti in materia di stupefacenti] dal paradigma iper-pubblicistico di contrasto alla produzione ed al traffico degli stupefacenti, valorizzando la messa in pericolo della vita e della salute del singolo individuo (assuntore, tossicodipendente o tossicofilo [occasionale]”. Infatti, il Diritto Penale non costituisce l'unica soluzione del problema degli stupefacenti. D'altra parte, è pur vero che lo spaccio “di quartiere” nulla ha a che spartire con il grande narcotraffico penalmente più che rilevante. Quando il danno contro la persona è bagatellare, la Giuspenalistica non è utile, in tanto in quanto il bene leso è quello del singolo assuntore.

Anche, del resto, a livello di razionalità e proporzionalità della pena, l'Art. 73 TU 309/90, in caso di particolare tenuità del fatto, non è idoneo a proteggere le “non-danneggiate” rationes tradizionali della salute collettiva, dell'ordine pubblico, dello sviluppo delle giovani generazioni e della sicurezza. Il sistema italiano, anche dopo Consulta 32/2014, è eccessivamente severo, dunque non deterrente. P.e., la coltivazione di cannabis non professionale e per uso personale o di gruppo dev'essere sussunta all'interno del campo precettivo dell'Art. 75 TU 309/90 anziché dell'Art. 73 TU 309/90. Di più, non mancano, in Dottrina, coloro che propongono di applicare la “lieve entità” ex comma 5 Art. 73 TU 309/90 sempre e comunque alla fattispecie di un quantitativo esiguo di marjuana. D'altra parte, la cessione di una quantità modesta di cannabis non lede o, comunque, non lede grandemente il valore costituzionale della “salute pubblica”, purché non vi sia stato l'intervento di gregari della criminalità organizzata.

A tal proposito, Ruga Riva (2019)[7] ha messo in evidenza che l'Ordinamento italiano, in tema di stupefacenti, è troppo severo, giacché “lo spaccio (o la detenzione oltre certe soglie ad esso destinata) di droghe leggere (ad esempio haschisch o marjuana) è [paradossalmente, ndr] più grave, agli occhi del Legislatore, di una lesione personale volontaria o di un omicidio colposo, nonostante la singola cessione (e tantomeno la detenzione finalizzata allo spaccio) non sia, di per sé, idonea a produrre malattie (se non sul lungo periodo e unitamente ad altre) e tantomeno la morte”. Dunque, secondo Ruga Riva (ibidem)[8], il TU 309/90 contempla limiti edittali sproporzionatamente ed irragionevolmente elevati. P.e., lo spacciatore di una droga pesante rischia dai 6 ai 20 anni di reclusione, il che paragona il pusher ex Art. 73 TU 309/90 ad un reo di omicidio volontario. Si tratta, palesemente, di sanzioni contrarie al criterio della “proporzionalità” della pena. Anche Ruga Riva (ibidem)[9] osserva che “se si prende a parametro di riferimento la salute dei consumatori, le pene attualmente previste non sembrano proporzionate in sé ed in raffronto alle pene previste per reati comparabili (lesioni personali volontarie, omicidio volontario consumato o tentato, omicidio colposo). Probabilmente, a parere di chi scrive, le disposizioni penali del TU 309/90 sono nate solamente per saziare malumori popolari cavalcati dalla demagogia politica. Oltretutto, le sanzioni di cui all'Art. 73 TU 309/90 sono talmente elevate da non cagionare più special-/general-preventività. Sempre Ruga Riva (ibidem)[10]considera “non proporzionata” pure la pena ex Art. 586 CP (“quando da un fatto preveduta come delitto doloso deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni dell'Art. 83 CP, ma le pene stabilite negli Artt. 589 e 590 CP sono aumentate”).

 

Il proibizionismo di fondo del TU 309/90

Nel bene o nel male, consta che il TU 309/90 è un atto di Normazione decisamente proibizionista. Infatti, in Dottrina, Ronco (2006)[11] asserisce che “il modello del proibizionismo è, a tutt'oggi, [in Italia] il paradigma che orienta le scelte di politica legislativa penale in materia di stupefacenti. Esso parrebbe imposto al nostro Paese da Convenzioni internazionali in tema di droga, le quali ci obbligano a prevedere come reato le condotte [ex comma 1 Art. 73 TU 309/90] di produzione, commercio e traffico illegali di sostanze stupefacenti, lasciando, invece, rispetto al consumatore [ex Art. 75 TU 309/90] la facoltà di scegliere tra la repressione penale e le misure [amministrative] diverse dalla sanzione criminale (ad esempio, il trattamento medico-terapeutico o socio-riabilitativo)”. A parere di chi commenta, d'altra parte, il proibizionismo è l'unica strada per la tutela della salute pubblica della popolazione giovanile, pur se ciò non deve consentire, de jure condito, un uso di forbici edittali abnormemente pesanti, soprattutto se la sostanza stupefacente non è “dura”, come la cocaina, l'eroina e l'ecstasy.

Tuttavia, non è mancato un sano auto-riduzionismo. P.e., Consulta 109/2016 ha precisato che “la Normativa italiana in materia di sostanze stupefacenti si ispira ad una strategia volta a differenziare, sul piano del trattamento sanzionatorio, la posizione del consumatore della droga da quelle del produttore, del trafficante e dello spacciatore. L'idea di fondo del Legislatore è che l'intervento repressivo debba rivolgersi principalmente nei confronti dei narcotrafficanti (grandi o piccoli che siano), dovendosi scorgere, di regola, nella figura del tossicodipendente o del tossicofilo una manifestazione di disadattamento sociale, cui far fronte con interventi di tipo terapeutico e riabilitativo”.

Similmente, Cass., SS.UU., 24 giugno 1998, n. 9973, Kremi specifica, gettando uno sguardo d'insieme sulle disposizioni penali del TU 309/90, che “la ratio delle incriminazioni in materia di stupefacenti è di combattere il mercato della droga, espellendolo dal circuito nazionale”. A sua volta, in Dottrina, Toriello (ibidem)[12], commentando Sezioni Unite Kremi 1998, afferma che “proprio attraverso la cessione al consumatore è, infatti, realizzata la circolazione della droga ed è alimentato tale mercato, che mette in pericolo i beni oggetto della tutela penale, individuabili in quelli della salute pubblica, della sicurezza e dell'ordine pubblico, nonché del normale sviluppo delle giovani generazioni”.

Alla luce della Dottrina e della Giurisprudenza summenzionate, emerge chiaramente l'immagine di un Art. 73 TU 309/90 munito di una ratio “pluri-offensiva”, pur se il comma 1 Art. 32 Cost. rimane il fondamento della Normazione penale in tema di stupefacenti. In modo assai simile, Consulta 333/1991, con afferenza alle disposizioni penali del TU 309/90 (Artt. dal 72 all'86), sottolinea che “si tratta di reati pluri-offensivi, in cui la salute pubblica (quale risultante della sommatoria della salute dei singoli individui) assume un ruolo privilegiato nell'ambito dell'oggettività giuridica, affiancata dai beni giuridici della sicurezza pubblica e dell'ordine pubblico”. Analogo, nella Dottrina degli Anni Duemila, è il parere di Cavaliere (2016)[13]. Tuttavia, negativamente critica è la posizione di Cadoppi & Scarcella (2019)[14], ovverosia, ad avviso di tali Autori, l'uso ludico-ricreativo della canapa non lede né la salute né l'ordine pubblico e rientra in una “libera scelta”, purché gli assuntori siano maggiorenni e ragionanti. Ecco di nuovo, a parere di chi redige, il falso mito radical-chic di una marjuana priva di effetti nocivi dal punto di vista tossicologico-forense.

Senza dubbio, gli Artt. dal 72 all'86 TU 309/90, come rimarcato da Grillo (2012)[15] “sono contrassegnati da una rigorosa e robusta risposta punitiva”; il che, secondo chi scrive, è inevitabile nel nome della tutela socio-sanitaria degli assuntori più giovani, giacché, nel lungo periodo, nessuna sostanza psicoattiva può essere definita come “leggera”. Ciononostante, nelle disposizioni penali del TU 309/90, non manca il garantismo accusatorio, poiché, come giustamente osservato da Cass., SS.UU., 26 febbraio 2015, n. 29316, De Costanzo, “nel nostro Ordinamento, la nozione di stupefacente ha natura legale, nel senso che sono soggette alla Normativa che ne vieta la circolazione tutte e soltanto le sostanze specificamente indicate negli elenchi o nelle tabelle predisposte ed allegate al testo unico degli stupefacenti”. Tale garanzia di “tassatività catalogica” non estensibile per analogia è evidenziata, in Dottrina, da Viganò (2015)[16] e, in Giurisprudenza, da Cass., SS.UU., 24 giugno 1998, n. 9973, Kremi, Cass., sez. pen. IV, 14 aprile 2011, n. 27771, Cass., sez. pen. IV, 18 aprile 2005, n. 20907 nonché da Cass., sez. pen. III, 13 gennaio 2011, n. 7974. In effetti, se non esistesse una nozione strettamente “legale” degli stupefacenti, sarebbero in pericolo le garanzie fondamentali di “tipicità” che accompagnano e debbono accompagnare una Giuspenalistica equa e democratica. Estendere analogicamente le tabelle allegate al TU 309/90 sarebbe contrario alla normale tutela del bene della libertà personale di cui all'Art. 13 Cost. .

Rimane, ognimmodo, come notato da Toriello (ibidem)[17], la necessità di verificare che la sostanza sequestrata sia contemplata nelle tabelle, ma possieda poi anche un concreto “tenore drogante”. P.e., esistono tipi di canapa privi di THC; dunque, la “tipologia” va accostata pure alla variabile della “qualità”. Entro tale ottica “contestualizzante”, Cass., sez. pen. VI, 13 dicembre 2011, n. 6928 ha precisato che “per rispettare il principio costituzionale di offensività, occorre accertare la quantità di principio attivo contenuto nella sostanza stupefacente oggetto di contestazione, attraverso un esame tossicologico”.

Come si può notare, Cass., sez. pen. VI, 13 dicembre 2011, n. 6928 nega la cittadinanza, nel Diritto Penale, ai reati muniti di una pericolosità anti-giuridica ed anti-sociale “astratta”. La mancanza di un pericolo toglie qualsivoglia rilevanza penalistica. Su tale linea “concretizzante” si pone pure Cass., sez. pen. IV, 19 novembre 2008, n. 6207, a norma della quale “ai fini della configurabilità del reato di cui all'Art. 73 TU 309/90, è necessario dimostrare, con assoluta certezza, che il principio attivo contenuto nella dose destinata allo spaccio o, comunque, oggetto di cessione sia di entità tale da poter produrre, in concreto, un effetto drogante”. Dunque, anche Cass., sez. pen. IV, 19 novembre 2008, n. 6207 ripudia l'idea di un delitto “astrattamente pericoloso”. Tale è pure la posizione di Cass., sez. pen. IV, 12 gennaio 2000, n. 3584, in tanto in quanto “non potrebbe ravvisarsi il reato previsto dall'Art. 73 TU 309/90 quando la sostanza ceduta, pur botanicamente [o chimicamente, ndr] compresa nelle tabelle, sia priva di qualsivoglia efficacia farmacologica e, perciò, inidonea a produrre l'effetto drogante a causa della percentuale insufficiente di principio attivo”. Il pensiero corre all'MDMA prodotta con una sintesi chimica inidonea; ma, soprattutto, è utile menzionare la cannabis derivante da sementi che non hanno generato THC negli arbusti e nei peli ghiandolari, come accade nella fattispecie della canapa ad uso tessile od agro-alimentare. Di nuovo, una pericolosità astratta toglie la rilevanza sotto il profilo penale, giacché manca la lesione fattuale della salute, dell'ordine pubblico o della normale tutela degli infra-18enni. Bisogna rigettare l'assurda figura del “delitto a pericolosità astratta”, in tanto in quanto, nella Giuspenalistica, la lesione del bene giuridico protetto dev'essere ben concreta. All'opposto, non sussistono né l'anti-normatività né l'anti-socialità.

Detto in altri termini, come asserisce Torriello (ibidem)[18], “una sostanza può ritenersi stupefacente non per la sua caratteristica astratta, né per la sua natura e nemmeno per la sua semplice corrispondenza al tipo descritto nelle tabelle ministeriali, quanto piuttosto e unicamente per la concreta efficacia del principio attivo in essa contenuto a produrre effetto drogante; e, dunque, per la quantità di principio attivo che essa è in grado di veicolare nell'organismo, determinando, in tal modo, l'effetto lesivo del bene giuridico della salute che la legge intende proteggere. Al di sotto di questa soglia, che è, in concreto, diversa da sostanza a sostanza, non è possibile parlare di sostanza stupefacente o psicotropa, nel senso tipicamente e tassativamente definito dalla norma incriminatrice, trattandosi, piuttosto, di sostanza inerte, o, comunque, non in grado di cagionare nell'assuntore assuefazione, dipendenza ed uno stimolo, ovvero una depressione del sistema nervoso centrale”.

Tale è pure il parere di Ruga Riva (ibidem)[19], il quale precisa che, nell'ambito dell'Art. 73 TU 309/90, l'offensione al comma 1 Art. 32 Cost. dev'essere concreta, fattuale ed apprezzabile sotto il profilo medico-tossicologico. Nondimeno, si discostano da tale interpretazione “fattualizzante” Sezioni Unite Kremi 1998, a parere delle quali “la circostanza che il principio attivo contenuto nella singola sostanza oggetto di spaccio [come p. e p. ex Art. 73 TU 309/90] possa non superare la c.d. soglia drogante, in mancanza di ogni riferimento parametrico previsto per legge o per decreto, non ha rilevanza ai fini della punibilità del fatto”. Purtroppo, Sezioni Unite Kremi 1998 è stata confermata, nella propria impostazione “formalistica” da alcuni Precedenti di legittimità degli Anni Duemila. P.e., Cass., sez. pen. IV, 3 luglio 2009, n. 32317 reputa che “il raggiungimento della soglia drogante non è necessario per la configurazione della fattispecie criminosa di detenzione a fini di spaccio, stante la natura legale della nozione di sostanza stupefacente”. Analoga è la posizione di Cass., sez. pen. V, 4 novembre 2010, n. 5130, per la quale gli estremi del delitto di cui all'Art. 73 TU 309/90 sono integrati dalla sola e semplice “corrispondenza della sostanza al tipo botanico”. Entro tale solco ermeneutico si pone pure Cass., sez. pen. VI, 26 settembre 2013, n. 43226, nel senso che “per stabilire l'effettiva natura stupefacente di una sostanza non bisogna ricorrere ad una perizia tossicologica”. Detto orientamento, provvidenzialmente, è rimasto minoritario.

A parere di chi redige, ignorare il quid pluris dell'”effettivo tenore drogante” della sostanza sequestrata dalla PG significa violare la ratio della “concretezza” del pericolo sanzionato dal Diritto Penale. Ignorare il profilo tossicologico reca ad una pericolosa “de-contestualizzazione” che rischia di avvicinarsi all'orribile figura novecentesca dei “reati di mero sospetto”. Una sostanza, vegetale o sintetica che sia, priva di un sufficiente principio attivo non è sanzionabile, dal momento che manca l'”anti-socialità” e la lesione dei beni protetti dalla norma incriminatrice. D'altronde, quanto qui asserito costituisce anche il nucleo precettivo di Sezioni Unite Castignani 2019, che qualificano come lecita la commercializzazione della cannabis “light”, ovverosia priva di THC, dunque non in contrasto con la ratio della salvaguardia della salute individuale e collettiva. Detto in altri termini, Sezioni Unite Castignani 2019 confermano che la sola corrispondenza al tipo botanico non è sufficiente per attivare l'apparato sanzionatorio di cui all'Art. 73 TU 309/90, giacché il tenore drogante dev'essere concretamente presente. Parimenti, Miazzi (2019)[20] specifica che “va dato estremo rilievo al concetto di efficacia drogante ed al suo rapporto con il principio di offensività”. Al di là delle acrobazie verbali, il Diritto Penale, anche in tema di stupefacenti, non può e non deve lasciare spazio all'assurda figura della “pericolosità astratta”; ciò vale specialmente nella fattispecie delle droghe vegetali, ma anche nel contesto dei preparati psicotropi frutto di una sintesi chimica.

 

Profili di Diritto Penale comparato

Anche in Germania, Austria, Spagna e Portogallo, la tematica degli stupefacenti è giuridificata o in appositi Testi Unici, o all'interno dei Codici Penali nazionali.

La BetmG tedesca è stata radicalmente novellata nel 1994 e si distingue per l'attenzione particolare alla tematica del recupero dei tossicodipendenti cronici. In Austria, la SMG risale al 1998 e distingue accuratamente tra pusher ed assuntore. Basilare è la ratio quantitativo-ponderale, che è stata fissata, per ciascuna sostanza, in un apposito Decreto del Ministero della Salute. Nell'Ordinamento portoghese, vige il DL 15/1993, che sanziona soprattutto le “condotte di traffico”. Nei casi della Francia e della Spagna, invece, la normativa sugli stupefacenti è stata inserita all'interno dei rispettivi Codici Penali, risalenti, per la Francia, al 1994 e, per la Spagna, al 1995.

In Francia, dal 1970, le disposizioni penali in tema di stupefacenti erano contemplate negli Artt. 627 e sgg. del “Codice della salute pubblica”. Nel 1994, il Diritto Penale degli stupefacenti è stato collocato negli Artt. dal 222-34 al 222-51 CP, nella Sezione “Del traffico degli stupefacenti”, Titolo “Degli attentati alla persona umana”, Capitolo “Degli attentati all'integrità fisica o psichica della persona”. Tuttavia, è rimasto in vigore l'Art. L 3421-1 del Codice della salute pubblica, che, a certune condizioni, sanziona il “delitto di uso [personale] illecito di stupefacenti”.

Nell'Ordinamento giuridico spagnolo, le norma penali afferenti alle droghe si trovano nel Capitolo III, Titolo XVII del Codice Penale (Delitti contro la salute pubblica). In Spagna, non esistono, a differenza di quanto accade in Italia, tabelle che cataloghino le varie sostanza e, per questo motivo, tutto è lasciato al lavoro classificatorio ed integrativo della Giurisprudenza.

Nel Regno Unito, sulla problematica dei preparati droganti, predomina lo Psychoactive Substances Act del 2016. Da menzionare è pure, sempre nella Common Law inglese, il Misuse of Drugs Act del 1971, che suddivide le “droghe controllate” in tre categorie, a seconda della loro pericolosità tossicologica. Nella caotica e frammentata Normativa britannica, rientra pure lo Human Medicines Regulation Act, che giuridifica gli stupefacenti per uso legittimamente medico. Infine, da precisare è che molte sostanze psicoattive sono regolamentate dal summenzionato Psychoactive Substances Act del 2016.

Negli USA, è in vigore, dal 1970, il Controlled Substances Act, suddiviso in cinque “schede”. Ogni “schedule” si occupa di varie droghe, suddivise in categorie a seconda della specifica pericolosità delle sostanze.

 

La giuridificazione del consumo personale nei vari Ordinamenti

Tranne nell'Ordinamento francese, in Europa e negli USA si distingue, sotto il profilo sanzionatorio, tra detenzione per fini di vendita e possesso per uso personale. Di solito, detenere una “modica quantità” è rilevante dal punto di vista amministrativo ancorché non penale. In special modo, la non rilevanza penalistica della “modica quantità” è applicata in Germania, Austria, Spagna e Portogallo. Negli USA, tale rilievo esclusivamente amministrativo vale solo per il possesso di un quantitativo bagatellare di cannabis.

In Germania, non è reato il possesso di una quantità massima detenibile “personale”, ma l'Art. 29 BetmG sanziona penalmente la detenzione finalizzata allo “spaccio”, a meno che, ex comma 5 Art. 29 BetmG, sia provata la destinazione “individuale” della sostanza sequestrata. Da notare è che ogni Land applica un proprio concetto di “modica quantità”, la quale, più o meno, è comunque pari ad un quantitativo “non superiore alle 3 unità di consumo medio”.

Nel Diritto Penale austriaco, è penalmente perseguibile il possesso di una dose o di una provvista detenute per fini di consumo, anche se solamente personale. La pena è della reclusione sino a sei mesi o della multa, purché non si configuri il delitto di “spaccio”. Se limitato ad un utilizzo individuale, il possesso di ecstasy o allucinogeni non rileva dal punto di vista penale.

In Spagna, l'Art. 368 CP punisce “lo spaccio, la fabbricazione ed il traffico” di droghe. Viceversa, l'uso esclusivamente personale non è delitto. Nel 2015, la Sentenza 788/2015 del Tribunale supremo spagnolo ha qualificato come “reato” fumare canapa nei “cannabis social clubs”, ove i soci coltivavano e consumavano haschisch e marjuana

Quanto al Portogallo, la L. 30/2000 ha depenalizzato “il consumo l'acquisto ed il possesso di tutti gli stupefacenti [purché] per uso personale [e] se il quantitativo non eccede la media di un consumo [individuale] per un periodo di 10 giorni”. Si noti pure che, in Portogallo, come in Austria, il condannato tossicodipendente beneficia della “probation” purché si impegni in un programma di disintossicazione.

La Normazione dell'uso personale di stupefacenti è più complessa negli USA. In linea di principio, domina uno sfavor giurisprudenziale nei confronti della canapa, sia nel Diritto federale sia in quello dei vari Stati. Più nel dettaglio, il Controlled Substances Act del 1970 ha dichiarato “illegale” la coltivazione, il possesso, al vendita ed il consumo della marjuana. Tuttavia, in alcuni Stati, il possesso di una modica quantità di canapa è sanzionato esclusivamente per via amministrativa, dunque con la multa. In altri Stati, cedere o detenere marjuana è solo un “minor misdemeanor”, ovverosia un reato contravventivo non punibile con la reclusione. In 26 Stati, invece, il possesso di modiche quantità di cannabis è ancora un delitto passibile di incarcerazione. Infine, in alcuni Diritti statali, tra cui quello della California, la marjuana è legalizzata come se si trattasse di un farmaco da banco. Il Colorado ha completamente liberalizzato la marjuana fumata per un puro fine ludico-ricreativo.

In Francia, è penalmente rilevante sia la detenzione sia il consumo personale di droghe. L'Art. 222-39 CP punisce con la reclusione fino a 5 anni e l'ammenda fino a 75.000 euro “la cessione o l'offerta illecita di stupefacenti ad una persona, in vista della sua consumazione personale”. Del pari, è ancora in vigore l'Art. L 3421-1 del Codice della salute pubblica, il quale sanziona “l'uso illecito [anche individuale] di sostanze stupefacenti”.

Nel Regno Unito, l'MD Act del 1971 configura come reato non l'uso, bensì il possesso di droghe. L'entità della pena dipende dalla tipologia più o meno uncinante della sostanza.

 

[1]Consumo e traffico degli stupefacenti, CEDAM, Padova, 1994

 

[2]Gargani, I reati contro l'incolumità pubblica, in Trattato di diritto penale, Grosso & Padovani & Pagliaro, tomo II, Giuffrè, Milano, 2013

 

[3]Amato & Fidelbo, I reati in materia di stupefacenti, in Reati in materia di immigrazione e di stupefacenti, Caputo & Fidelbo, Giappichelli, Torino, 2012

 

[4]Amato & Fidelbo, op. cit.

 

[5]Toriello, Produzione e traffico di sostanze stupefacenti, Giuffrè, Milano, 2015

 

[6]Padovani & Stortoni, Diritto penale e fattispecie criminose. Il Mulino, Bologna, 1991

[7]Ruga Riva, La disciplina repressiva del consumo e del traffico di stupefacenti, in Diritto penale, parte speciale Vol. I, Pulitanò, Giappichelli, Torino, 2019

 

[8]Ruga Riva, op. cit.

 

[9]Ruga Riva, op. cit.

 

[10]Ruga Riva, op. cit.

 

[11]Ronco, Voce Stupefacenti, II, Diritto penale, in Enciclopedia Treccani Giuridica, Treccani, Roma, 2006

[12]Toriello, op. cit.

 

[13]Cavaliere, il controllo del traffico di stupefacenti tra politica criminale e dogmatica, ne Il modello integrato di scienza penale di fronte alle nuove questioni sociali, Moccia & Cavaliere, ESI, Napoli, 2016

 

[14]Cadoppi & Scarcella, California dreaming. Per una legalizzazione della cannabis e dei suoi derivati, in Diritto Penale Contemporaneo, 2019

 

[15]Grillo, Stupefacenti: illeciti, indagini, responsabilità, sanzioni, IPSOA, Torino, 2012

 

[16]Viganò, Le Sezioni Unite risolvono un contrasto … dottrinale sugli effetti della Sentenza n. 32/2014 in materia di stupefacenti, Diritto Penale Contemporaneo, 1 agosto 2015

 

[17]Toriello, op. cit.

 

[18]Torriello, op. cit.

 

[19]Ruga Riva, op. cit.

 

[20] Miazzi, Cannabis: dalle Sezioni Unite una risposta che va interpretata, in www.giustiziainsieme.it 2019